lunedì 31 maggio 2010

Cantine sempre aperte

"Io l'ho vista ieri sera al castello di Susans".
"Prego?
"Io...".
"Vero, lei! Lei mi ha..."
"Fatto degustare".
"Tutta la sera. Vede che lavoriamo".
"Vedo".
"Lei pure, ha un Friulano?".
"No, di là. Qui i rossi. La scala è questa".
"Un Montsclapade, grazie".
...
"Buongiorno, grazie".
"Buona giornata a lei".

domenica 30 maggio 2010

Ospiti di gente diversa

A un certo punto un'ostrica avrebbe dovuto trasformarsi in Hannibal, rinchiudere le valve e inghiottire uno dei 300. Uno qualsiasi. In un castello gremito in ogni ordine di posti, ventilazione inapprezzabile, terreno in ottime condizioni, è mancato solo il gol dell'arbitro. Donne intaccate di doppi decimetri hanno iniziato a scalare il castello di Susans un attimo prima dell'arrivo in auto senza tacchi dell'assessore Cirians. Andavano tutti, anche gli uomini in suola di cuoio, a celebrare un funerale e un battesimo. Tutto nella stessa giornata, c'è la crisi, contenere le spese, osti che ostriche.
Prima del battesimo, il funerale di "Ospiti di gente unica", sei anni di vita. Solo gli Spartani intervenivano un po' prima. Quello slogan ha avuto il momento più alto, sarà stato il 2005, quando il noto produttore di vini Z., in conferenza stampa, citò: "Vedrete che le cose andranno bene perché i nostri ospiti si accorgeranno di essere davvero "Ospiti di gente diversa"". L'assessore B., a un passo, svenne.
Il battesimo è preceduto da 45 minuti di aperitivo. Il cronista se ne fa tre. Sotto media, si rifarà nel secondo tempo. Rullo di tamburi, Cirians preambola, il direttore D.G. presenta, il presidente T. scopre l'uovo di Colombo. A un certo punto, sullo schermone, ci sono più "live" che bollicine in tutto il castello. Settima fila, posto 12, uno rutta e gli esce un "live". E' un brand? Un claim? Un fuck? No, è un concept, chiariscono quelli di Fabrica, i vincitori. Friuli Venezia Giulia sta in mezzo a due parentesi quadre spezzate che il mio collega preferito chiama per tutta la sera parentesi graffe. Un paio di Fabrica svengono.
Fatto click al pezzo attraverso la mano di una valente addetta stampa, il cronista si immerge nella festa. Si fermerà al quindicesimo bicchiere per manifesta superiorità. Sulle ostriche, invece no. Lì ci sono Bolt irraggiungibili, corsie a otto, tutti otto sul filo di lana, saltano addosso ai bivalvi e li risucchiano live. Non le uniche delizie in un calderone di tonno rosso, faraone egiziane, sformatini. Mentre il gossip è oltre, oltre prima, oltre sempre. Non questo sta con quella. Ma Questo sta con quella. E quella è sorella di quella che ha le labbra così per una paresi al momento del timbro. Senza svenire.
Il cronista sta bene. Con i soliti noti, amici-amiche, sempre divertenti. Di più. C'è pure Biancaneve: non perderà la scarpetta. Ti piace 'sto marchio? I colori? La parentesi graffa? Minuti di recupero, le ostriche sembrano finite. Cupi in volto i 300 si sfogano: "Che festa di merda, 'sti micragnosi". 15mila euro e neanche 15mila ostriche. Ma al castello di Susans qualcosa può sempre accadere. Lì l'assessore B. ha presentato il guru del turismo E., lì le ostriche possono riprodursi. Un miracolo live.
Non so se i dolci sono arrivati, penso di sì. Di sicuro la Ribolla gialla di C. non è mai finita, non ha avuto bisogno di riprodursi, era cascata tutta la sera. C'erano colleghi non al lavoro saliti solo per esserci. Hanno trovato le ostriche. E, in una notte di funerali e battesimi, le hanno viste rinascere.

Se ne parla anche qui. Un po' curve e un po' bold. E naturalmente anche qui, finalmente.

sabato 29 maggio 2010

Sincronie

La mia amica Federica (5)

A 11 anni ho letto Saba...e non un Saba qualsiasi ma quello di "Ernesto"...A 15 anni ho divorato "Altri libertini" di Pier Vittorio Tondelli. Mettevo i "Roy Rogers" 30 anni prima che fossero di moda. In terza liceo, anno della maturità, me ne fregavo del programma e consumavo, nascondendoli sotto il banco, i libri di Emile Zola, Baudelaire e Rimbaud. A 20 anni per me le uniche scarpe erano le "Adidas" blue elettrico con strisce verde fosforescenti che ora sarebbero molto trendy e allora erano quelle che restavano nei magazzini. Ho letto il primo Harry Potter in Australia, incuriosita dall'invasione di quel maghetto in tutte le librerie delle varie città. Lo stesso, anni prima, era accaduto per Bridget Jones: comprato dopo aver visto decine di donne (e uomini) ridere in metropolitana a Londra con quel volumetto in mano. Stessa scena poi per Sophie Kinsella (l'amata Madeleine Wickham) e la sua serie "Shopaholic". Quando mi sono sposata, 15 anni fa, ho sconvolto il parentame e gli amici facendo la lista di nozze in un'agenzia viaggi. Ora lo fanno praticamente tutti. Vestivo "Desigual" quando si trovava solo in Spagna. Compravo le borse "Ggl" con il mio solito spirito "snobistico" già 6 o 7 anni fa, prendendole in Austria. Ho l'auto col cambio automatico almeno da 10 anni. Conosco (e porto) le scarpe Mbt da altrettanto tempo. Ho letto il libro-autobiografia di Obama prima della sua storica discesa in campo a Denver con l'ufficializzazione della candidatura. Le maglie di "Abercrombie&Fitch" sono nei miei armadi da un po' di anni, tanto che ormai in famiglia abbiamo già affrontato la svolta verso "Hollister" (il brand californiano della stessa casa). Vedo film che la gente scopre solo dopo i vari premi (tipo l'Oscar "The hurt locker"). Amo il Giappone prima della nascita di qualsiasi Far East Film Festival. La prima volta che ho visto Luciano Ligabue, almeno 20 anni fa, si esibiva di fronte a 400 persone in una discoteca alla periferia di Udine. Non godo di tutto ciò. E' semplicemente così. Sono sempre fuori sincrono con il resto del mondo. Me la tiro??? Sì. Forse è vero. Comunque me la tiro da molto prima degli altri...

giovedì 27 maggio 2010

mercoledì 26 maggio 2010

Special

E’ arrivato e ha detto: "Non sono un pirla". Non era granché. Meglio, sin lì, Pirlo: “Sono Pirlo, sono di Brescia”. Poi però ha aggiunto il "good afternonn e good morning" ed è arrivato, una sera che non te l'aspettavi, a "prostitucsione intelectuale", prima di ridurre il negrazzurro Balotelli a "un neuronio". Più di tutto, ovvio, la genialata del millennio, lo slogan di un decennio, la sintesi di un titolo scoop. Posto che non siamo la Giuve ma la Juve e che gli allenatori non-contano-un-tubo, trattandosi di flipper e di fucsia (Maicon di mano, v-olè, rigore, 1-0 crukki, ah no, sliding doors), il non-senso è che sia stato con i negrazzurri e non con la Giuve. Perché ha costruito un gruppo, rafforzato certezze, canalizzato motivazioni. Allenatore, strategia, tattica? Massì, ha piazzato la trappola contro Messi (la serata del terruar), ha avuto l'intuizione delle 4 punte (ma Mancini no???), ha sognato che Milito fosse meglio di Ibra. Non era un sogno, non era nemmeno quotato. Ha avuto ragione.
Ci mancherà. Alla Giuve senz'altro. Da Lippi in giù facce da perdenti, smorfie, danone, tic, tac. Motivatore? Massimo. Tattico? Tattico. Comunicatore? Spettacolare, ma troppo facile, c'è di fronte il nulla. Gli altri sono da "abbiamo di fronte dieci finali", lui dice vado via prima di tutto: può essere "zero tituli" e piazza il "triplete". Cappello. Con due "p".
Esiste un modo migliore per uscire di scena? Se vinci hai SEMPRE ragione. Se crei emozioni, attese, e le ripaghi e le riempi, hai SEMPRE ragione. Se la tira perfino troppo poco. Ha vinto tutto nel breve. Ha dato epoca a una squadra-società di leggendari sfigati. Ha messo le manette, ha esultato pazzo per un gol in fuorigioco via Michelin, è stato SEMPRE il controllore del gioco. E' stato feroce e divertente, forzato e vincente. Non un mito, non stava nella Giuve. Ha avuto un gigantesco culo, il culo di chi se lo merita. Epperò, in un flipper, contano i momenti. E quando corre così, capisci che corre per sé, per il suo essere "speciale", per l'attimo. E i negrazzurri non contano-un-tubo. Anche se non sono più sfigati. Non troppo, almeno.

martedì 25 maggio 2010

Corse corte

Drin, dove sei, che fai, caffè? Seduto al Leon d'Oro, Largo Meni, fuori, vecchiette, vecchione, vecchiacce, spritz in bicchiere graffiato, raccolgo appunti sul caso R. Mi sposto direzione via Manin, appunti sul fianco, assessori schierati, tappi-un bicchiere gratis, parlano tutti, il presidente di banca meglio, poi via al Numero 8. Tavolo ovale, assessori schierati bis, Buttrio in forze, Buribus-geniale, posto triste ma potenziale g-rosso, accavalla le gambe ma non è Pietra, sinistra, sta sempre a sinistra, arriva Meni, forse la mia amica Federica. No. D'improvviso "Niente...devo andare via martignacc...autobus a fuoco...". Morti? chiede Meni. Più vivi che morti, doppio giro, poi tartine, poi arabo. Piatto unico, buono, bene, pesce, cous cous, conchiglie, foto-vigna, mandi Pecile, telefonata, lirica, scappo, via, dove vai, perché, torna, tornate. Risalire piazza Libertà, via Mercatovecchio, ridiscendere corte, cortili, carte (briscola a Buri, domenica 6, non mancare), caffè miao-miao. Ciao, bici, infilato sulla tastiera. Adesso.

lunedì 24 maggio 2010

Acqua

La mia amica Federica (4)

Le abbiamo scritte tante volte. L'hai fatto anche tu. Erano le storie di Maria, Giovanna, Cristina. Abbiamo persino raccontato di una Vanessa. Tutte, come noi, tra i 40 e i 50 anni. Tutte dotate di grande coraggio e forza. Tutte con figli e figlie, mariti e parenti vari alla fine realmente ma anche banalmente ''inconsolabili''. Ma la tua storia non la scriveremo mai. Perchè tu sei la forza. Tu sei il coraggio. Te lo si leggeva chiaramente negli occhi quella sera che ci ha salutato sorridendo mentre noi strozzavamo le emozioni ticchettando a più non posso sulle tastiere nei nostri computer. Di te non si leggerà mai in una fredda cronaca postuma. Sei cocciuta, sicuramente più di noi che ci arrendiamo dietro a qualsiasi scusa pur di non scriverti o semplicemente pur di non chiamarti. Ma ti pensiamo, ti penso, di continuo. Entrando in ufficio e vedendo la tua scrivania per ora vuota. O rispondendo al telefono a quelli che erano e sono i tuoi ''clienti''. Dalle smorfie o dai sorrisi di chi ti è più vicino capiamo se va peggio o se va meglio. A turno, senza parlarci e avvisarci, annaffiamo le tue piante. Un gesto banale, stupido, anche comodo. A questo punto vorrei poter scrivere che stanno spuntando nuovi germogli su quelle piante. Sarebbe un finale perfetto. Ma tu le conosci quelle piante. Non hanno germogli. Sono semplicemente verdi. Come la stella di Natale che sopravvive qui dentro da anni, perfettamente affogliata. Determinata. Resistente e fiera. Come te.

domenica 23 maggio 2010

venerdì 21 maggio 2010

L'ama

Avrei dovuto scrivere l'altro giorno perchè sputavo come un lama. Spitak Sputik, fendenti che sfioravano i di fronte. Oggi quasi più allenato, solo qualche lapillo. Due buoni compagni di viaggio non dovrebbero lasciarsi mai potranno scegliere imbarchi diversi saranno sempre due marinai. Davanti, di spalle, un codino e un miccoli. Di viso, un dinoccolato unisex e due. Così preciso ed imperfetto che nessuno lo incastrava se non voleva ringraziava con un inchino da domatore le salutava e poi chiedeva e chiedeva o prendeva e come un messicano si allontanava. Al parco le donne profumano di profumo. Forse sono i fiori volanti. E dimmi quante maschere avrai regalami i trucchi che fai insegnami ad andare dovunque sarai sarò. E dimmi quante maschere avrò se mi riconoscerai dovunque sarò sarai. C'è una cita bionda che penzola sulla penultima curva. Non so come si è arrampicata fin lì, mani tremanti. Non fa ginnastica, sopravvive senza gridare aiuto. La aiuteranno a scendere quando calerà la luce. E il guanto fu rapito in una notte d'inchiostro da quel mistero chiamato amore da quell'amore che sembrava un mostro inutilmente due nude mani si protesero a trattenerlo il guanto era già nascosto dove nessuno può più vederlo il guanto era già lontano quanto nessuno può più saperlo. L'inferno si affaccia al primo giro, sulla prima salitina. Verrebbe voglia di stendersi sui fili verdi, si va avanti, perché cita è ancora lì. E il miccoli dondoleggia. E le due profumano di profumo. E sorpassi un codino. E unisex ghigna nervoso. Ci sono tre scalini sulla porta della galera e un diavolo che grida e un angelo che si dispera c’è gente senza cuore in giro per la città c’è gente senza cuore in giro per la città alcuni bruciano persone e cose solo per vedere che effetto fa.

martedì 18 maggio 2010

Anestesia

La mia amica Federica (3)

Ho sempre chiuso gli occhi. Una volta ho provato a tenerli aperti. Ma mi sembrava di essere dal dentista. E poi, dopo un attimo, sono scoppiata a ridere. Da allora ho deciso: sempre e solo a occhi chiusi. Perchè è un momento mio/nostro, di noi due. E comunque intimo. Personale. Privato. Per questo non mi piacciono quei manifesti. Perchè sono ipocriti. Ognuno baci chi vuole. O, per essere meno elegante, ognuno scopi chi vuole. Ma basta con questa tiritera densa di stereotipi e basta con questo "obbligo" del gay friendly, comunque e dovunque. Basta anche con l'equazione gay (o lesbica): quindi intelligente, creativo, di cultura, sensibile. Sì, conosco persone intelligenti, creative, di cultura e sensibili. Della metà di loro non so se siano gay (o lesbiche) o eterosessuali. E conosco pure persone cretine, arroganti, ignoranti, nonchè incidentalmente e indifferentemente anche gay o etero. Ho visto però esaltate persone o personalità, a volte perchè semplicemente gay. E i conoscenti/amici/colleghi/vicini di casa tutti pronti ad accodarsi. Per non turbarlo, per non essere etichettati come omofobi o fascisti. (Il teorema Balotelli vale sempre: guai insultarlo, anche se fa cazzate, se no si è razzisti). Ognuno di noi è adulto, questa nostra civiltà è adulta. Ognuno di noi deve essere rispettato per ciò che è non per chi ama. Perchè invece non restituiamo un po' di intimità alle nostre affettività? E non per "farlo" di nascosto. Ma per ridare ai nostri gesti il loro vero valore, con l'intensità e la dimensione privata che meritano. E se fossi io, con queste mie "provocazioni", ma anche con questa mia civiltà meno "patinata", il vero prodotto tipico friulano?

lunedì 17 maggio 2010

Massimo coerenza

Massimo Moratti: "Scudetto vinto contro tutto e tutti? All’Inter capita sempre".

Anche ieri, giovedì 13 maggio, festa della Beata Vergine Maria di Fatima, la Camera era vuota come una spiaggia a gennaio sotto un diluvio. Direte: non era un giorno lavorativo? Dipende dai lavori. Non avevano promesso che avrebbero lavorato anche il venerdì? Sì, però, dipende, insomma... Ma tiratevi su: i deputati non perderanno altre ore preziose per mettersi in coda all’unico sportello milanese che venderà gli ultimi biglietti per la finale di Champions.
Gli amici dell'Inter, infatti, non hanno avuto cuore di infliggere loro l'umiliazione di sentirsi come i comuni mortali. I parlamentari possono comprare i loro biglietti con comodo. All'Inter club di Montecitorio e di Palazzo Madama. Quale sia al momento la situazione l'abbiamo raccontato ieri. Dei ticket che aveva a disposizione, la società di Massimo Moratti ne ha distribuiti un migliaio alla curva dei fedelissimi, 9000 a una serie di agenzie che organizzano pacchetti completi, 5000 agli Inter Club che organizzano i voli. Se n'è infine tenuti 2000 da gestire direttamente. Tra i quali, a quanto pare, sarebbero quelli destinati agli amici degli Inter Club della Camera (presidente Francesco Colucci, deputato del Pdl e questore di Montecitorio) e del Senato, presidente Benedetto Adragna, Pd, lui pure questore a Palazzo Madama. In aggiunta a quelli riservati, si capisce, ai consiglieri comunali milanesi, ai consiglieri regionali, agli assessori, ai famigliari, ai portaborse...
GIAN ANTONIO STELLA

Arancio nero

Hanno sfilato legamenti, scucito fibre, svirgolato caviglie. Hanno resistito. Hanno sfiorato il cotone, piazzato fadeaway jumper, arrampicato palloni. Hanno chiuso con uno sdeng che fa un male non feroce. Hanno applaudito e reciproco. Sono stati una SQUADRA. Perché il capo, stavolta, non vendeva fumo. Lo sdeng è la conseguenza della SFIGA. Che ovviamente non esiste ma c'è. Il cronista non tifoso perché non l'ha mai fatto ha apprezzato non poco. Non s'è quasi mai annoiato. Ha sparato qualche trrripleee. Il cronista sordo con il culto della sconfitta riassume: è finita con uno sdeng che suona come swish.

sabato 15 maggio 2010

Tat-ta-tat-ta-tat-tara-tatà-twit

Centinaia di serate. Tutte uguali. Tutte alla stessa ora, dopo il tiggì. Inizio-fine, dieci minuti spaccati. Divano e poltrone verdi ramarro. Velluto attrito. Di sicuro l’ho visto fino all’ultima puntata, 1 gennaio 1977. Silenzio reale. Concentrazione feroce, come ai rigori di un mondiale. Cantavano, sketchavano, palieggiavano. Per adulti ma anche per bimbi. Per mandarli a dormire. 20.50, dai che inizia. 21, dai a nanna. Questi sono tanti, questo è il numerouno, questo è l'ultimo. Non guardo più la pubblicità. Ecché c'ho scritto?

D(h)on't sell my kisses

venerdì 14 maggio 2010

Contatti di porfido

La mia amica Federica (2)

Non farlo. Non puoi. Non vuoi. Non perderti. Non trovarti dove non sei. Gli occhi, le mani, il sorriso. Il calice di vino sempre più buono di quello che ti aspettavi, sempre meno buono di quello che volevi. Il porfido perfetto, che quando c'è il sole non c'è posto più bello al mondo. E quando piove comunque è meglio essere tristi qui che altrove. Poi è già ora di andare. Ritornare dove comunque sei abituato a essere e dove vuoi comunque essere. Udine tanto è lì. E domani ci sarai di nuovo. E la città ti riprenderà di nuovo. Cubetto di porfido dopo cubetto. Commesse dopo commesse. Bariste dopo bariste. Fino al prossimo sguardo. Fino al prossimo abbraccio imprevisto. Sotto al portico, in mezzo al vicolo. Un abbraccio imprevisto e caldo. Tu che ami invece, mentendoti, sentirti freddo come quel cubetto di porfido. Che freddo in realtà non è.
___________

Godiamo

La mia amica Federica (1)

Emanuele è un visionario. Cucina prima con la mente. Poi con le mani e con il cuore. Sperimenta, prova, cambia. Mescola sensazioni e ingredienti. Ma non è un eremita della cucina, no. Lui gigioneggia tra i tavoli. Guarda le espressioni di chi assaggia i suoi piatti. Cerca di catturare le emozioni di chi pranza da lui. E poi, queste emozioni, le cucina e le riprone nei piatti per chi verrà dopo. Mangiare Agli Amici di Godia è un'esperienza mistica. Esageriamo? Pazienza!!! I sassi sono patate. Gli asparagi impalpabili sensazioni. Il fois gras una delizia acida. E così all'infinito... I sapori, gli odori, le visioni. Tutto da lui è un semplice ossimoro di un'arte godereccia legata al pratico ma in costante ricerca del metafisico. Come l'albero che non c'è più a proteggere il patio ed è stato riprodotto ad arte da un gioco di illusioni architettoniche. Come la cura e l'attenzione al servizio e poi l'arrivo di piatti che si mangiano con le mani. Come i dolci che prima si gustano con l'olfatto, grazie a profumi che sanno di strudel o cioccolato. Chi come me non è gourmet di professione forse si può entusiasmare anche per poco. Ma da Emanuele nulla è poco. E nulla è tanto. Tutto è in equilibrio. Con una perfezione voluta, cercata, forse mai raggiunta. Anche perchè le cose perfettamente perfette non sono sempre le migliori. Ma lo sforzo si percepisce. Anche nei suoi occhi. Contenti di quello che fa. Contenti di quello che stanno già immaginando.

giovedì 13 maggio 2010

Sono Savio

Il bar Savio è passato-presente-futuro. Era un'infanzia da schedina. E' ora, perché sprolunga, un no-global diffuso non-senso. Ed è domani, perché il fatal gli regala un riscatto.
Mi danno del lei al bar Savio. Si sollevano al "salve" quando ordino un Traminer. Sono fortunati ad avermi, ovviamente saltuario.
Entro salterino. Fisso il tabellone-lavagna mezzo cubo, stile Spectrum. Mi accomodo sul trespolo-pappagallo. Scomodo una ragazza una-una, spero sia una-1, invece è spesso, troppo, una-2. Questione di vino, solo vino, perché vivo.
C'è un tempo vuoto al Savio. Spesso, troppo. Lo spazio tra il bicchiere appoggiato-clinch e las tapas deposte-post. Con uovo, tal veces.
Al Savio c'è il miglior scranno per scrivere parole. Altezza stile. Garrese. Lì riempio certezze. Si schierano calici. Si accumulano cassette. Si allenta la cita. Si raggruppano istinti. Dal Savio si esce meglio che da A&F. Alle spalle lo spirito del domani. Mi hanno detto "grazie a lei". Nemmeno pentito.

mercoledì 12 maggio 2010

Classifiche dell'anima (5-continua)

1) L'apparenza
2) I sacchi della posta
3) Estetica
4) Lo scenario
5) Le cose che pensano


"Mi arriva un testo e io faccio così: se non ci capisco nulla vuol dire che è perfetto. Poi ci metto una musica fredda, anche quella che non dia nessuna emozione. Poi vado in sala d'incisione e la canto da seduto, fermo, lo sguardo nel vuoto".

lunedì 10 maggio 2010

domenica 9 maggio 2010

A&F

Milano, corso Matteotti 12, Abercrombie & Fitch, quarto negozio Flasghisp (negozio ammiraglio, con il 100% delle collezioni di entrambi i marchi Abercrombie e Abercrombie Kids) al mondo dopo New York, Los Angeles e Londra. Ci sono entrato perché la coda (20 metri, che si arrangino, tanto la felpa ce l'ho già me l'ha regalata Fashion direttamente da NY) si è liquefatta nello spazio di una pasta pomodoro e basilico (12 euro, e gli altri 100 grammi dov'erano?). Ma, quando ci sono entrato, era un'altra dimensione. Musica pum-pum, commessi-fighi (abbastanza dai, il migliore era il portinaio sotto), e una riga di felpone una sopra l'altra, colore dopo colore, zip dopo zip. Non un negozio, un casino ordinato. Ho tastato una polo (bruttine, scontate) e un commesso-non figo l'ha stirata con la mano come nemmeno una mamma. Poi ho chiesto info (devi farlo in fretta, è come alla fila per il pane, una qualsiasi massaia ti può fottere), sempre con la musica pum-pum (dopo 5 minuti che palle-palle) e la gente che prova, mette e smette, compra e compra. Compra anche se la cosa più bella è lo scorrere del nome: A-ber-crombi-and-fich. Compra perché, se una pasta pomodoro e basilico lì a un passo costa 12 euro, siamo a prezzi di saldo. Compra anche se non si capisce perché c'è il felpone e non la felpina: d'accordo che quest'anno è inverno-prolunga ma puoi mettere quel felpone lì nei prossimi cinque mesi? Ci sono uscito, se non contento, convinto del ritmo. La notizia c'è: questi fanno così tanti soldi che quelli di là si dovranno minimo minimo comprare la Barilla.

Work in progress

Milano, direzione teatro Arcimboldi, 8 maggio, quasi le 9 di sera. Quattro gambe ad arco. Cloppete cloppete. Lei ha dimenticato i biglietti in macchina, lui la guarda sghembo, dietrofront, incrocio gli sguardi e li perdo alle spalle. Un attimo dopo, magliettadaconcerto-15 euro, birracalda-4 euro, sono appollaiato lassù, troppo su, orizzonte con testa di profilo rovesciata, alla fine racconteranno che è di Mimmo Paladino.
Prima impressione: sono tutti(quasi)tutti giovani. Upset. Alla destra ballerine nere pirsing giro coscia con moroso che non conoscerà una parola. Nemmeno caro amico ti, ti, ti...Alla sinistra giro coscione, meglio a destra dove lei, almeno lei, terrà un po' il ritmo. Cloppete cloppete saranno già arrivati, sempre che i biglietti...
Over the rainbow, Dalla al clarinetto, De Gregori all'armonica, apre tre ore (tre ore! meno un quarto di pausa caffè, altra birrasemprepiùcalda) che non avrei pensato (sperato) così, ma sono di parte non vale.
Seconda impressione: non ci sono nostalgia, avvilimenti da trent'anni fa, scimmiottamenti scomposti. Perché questa non può venire più così ma quest'altra non è venuta mica male. E pure questa è venuta, giuringiurella, proprio così.
Spaccano le canzoni quasi a metà, se le prestano, le incrociano. Tutta la vita, Anna e Marco, Titanic, I matti (!). De Gregori entra in Dalla meglio del viceversa. Trent'anni fa era il contrario. Quello pelato e con il barbone faceva del resto queste cose qui, troppo oltre per potergli stare dietro. Adesso, quando quello alto canta Per chi vive all'incrocio dei venti ed è bruciato vivo per le persone facili che non hanno dubbi mai per la nostra corona di stelle di spine e la nostra paura del buio e della fantasia e poi Eccomi qua sono venuto a vedere lo strano effetto che fa, quello piccolo può aspettare, c'è più equilibrio. Clap clap, sì cloppete cloppete sono arrivati, sghembe le mani dopo La donna cannone e Caruso, per fortuna ci sono, e 4 marzo e Piazza grande, vabbè ci devono essere.
Terza impressione: Dalla al sax, perché non l'ha fatto più spesso. Ed Henna, sì Henna, è da un po' di tempo che la fa più spesso, era ora. Arrivano una Rimmel in karaoke, L'anno che verrà, I muscoli del capitano, Com'è profondo il mare (10+), Futura (10 e lode), Viva l'Italia, gli altri due inediti Gran Turismo e Gigolò. Cosa manca? Beh, come sempre tranne che a Gorizia, manca Tu come eri. Ma alla penultima, dopo che le solite mummie da teatro non hanno mosso una benda per due ore quaranta, accade il miracolo. Laggiù, ala destra sotto il palco, battono le mani alle prime note. Qualcuno agita il bacino, vorrei essere là con voi ma il crociato non terrebbe mi gettassi da quassù, troppo su. Allora resto appollaiato e sembra, pure questa, con il tum-tum che fu.
Ultima impressione: devo rivederli. Perché sarò anche di parte ma che titani.

giovedì 6 maggio 2010

Change your life (2)

La fredda, la incastra, la scrosta, la sghiaccia, la scosta, la drizza, la stappa, la inclina, la versa, la sbruma, la cin-cin, la ammalta, la smalta, la avvita, la invita, la spuma. La sfinisce.

Classifiche dell'anima (4-continua)


1) John McEnroe. Swing.
2) Adriano Panatta. V-olè.
3) Jimmy Connors. Pugnetto.
4) Andre Agassi. Prima.
5) Rafael Nadal. Spatapam.

mercoledì 5 maggio 2010

Auguri mamma

Ninna-nanna Pia Teresa figurine Capitan Miki Fulvia 500 rossa Paperino Niki Lauda blu ma è Napoleone fuorigioco no mamma è in linea R5 trenta-bravo unamaschio-duefemmine unapettinata-settesusette buon compleanno sempre pizzetto non è un pizzetto ma sì mamma.

martedì 4 maggio 2010

Con quella faccia un po' così

Udine (1 maggio 2003). Li vedi fianco a fianco e non ti sembra vero. Poi si sorridono e capisci che l'operazione ricompattamento di Forza Italia ha centrato un altro obiettivo. Clamoroso. Claudio Scajola e Roberto Antonione fumano un gigantesco calumet della pace e si presentano ai giornalisti come gli amici ritrovati. Il furioso attacco del coordinatore nazionale a Scajola e le conseguenti feroci polemiche? «Amplificazioni di stampa». Tutto superato. Tutto chiarito. «Abbiamo sentito il bisogno di spiegarci e ci siamo riusciti». Da Scajola la dichiarazione definitiva: «Sono molto contento di stare qui assieme a lui». L'inattesa, e pubblica, riappacificazione va in scena all'Hotel Ambassador di Udine. Fi porta a casa un altro ex ribelle. Antonione come Romoli, Tondo e Agrusti. Riconquistato alla causa. «Parte dei dissensi nati tra me e Roberto - spiega Scajola - dipendono da ragionamenti non compiutamente riportati dalla stampa. A lungo non ci siamo incontrati, poi ci siamo sentiti al telefono e abbiamo approfittato di questa mia visita a Udine per chiarirci». Scajola non può nascondere del tutto il grande freddo: «Qualcosa ci siamo detti. Ma noi non usiamo il metodo stalinista di tenerci il coltello sotto il tavolo quando si fanno le riunioni nelle stanze segrete».

Classifiche dell'anima (3-continua)


1) Matador. Matador è un film del 1986 diretto da Pedro Almodóvar e sceneggiato dallo scrittore Jesús Ferrero.

2) Il silenzio degli innocenti. La comparsa di un nuovo assassino seriale con la brama dello scuoiare le sue giovani e belle vittime motiva Jack Crawford ad assegnare alla promettente Clarice Starling il ruolo di risolvere il caso. E la chiave è interrogare il serial killer Hannibal Lecter, recluso da oltre otto anni nel Cheasapeake (in seguito Baltimora) State Hospital, diretto dal "dottor" Chilton. L'Fbi ritiene che Lecter possa sapere molte cose su "Buffalo Bill", e poiché rifiuta di aprir la sua mente, forse una giovane donna può far leva sulla sua folle genialità. Clarice fissa un "appuntamento" con l'omicida, ma viene messa in guardia sia da Crawford che da Chilton: è importante non rivelare nulla di sé stessi, o mostrarsi troppo disponibili con Lecter. Il cannibale mostrerà subito di avere capacità mentali e sensazionali di gran lunga superiori a quelle normali, e Clarice scoprirà che la sincerità è la chiave per discutere con Lecter, per non lasciare che faccia dei suoi questionari dei semplici origami o che la possa prendere in giro: tra traumi del passato ed innumerevoli indagini, Clarice intuisce la connessione tra una delle vittime e il suo assassino, riuscendo così a scovare e a catturare Buffalo Bill: intanto però Hannibal riesce a fuggire di prigione. Durante la festa per la sua promozione ad agente dell'Fbi, Clarice riceve una telefonata da Lecter, che le chiede se finalmente "gli agnelli hanno smesso di gridare", ossia se i traumi e i fantasmi del passato hanno smesso di tormentarla; avvertendola di non poter essere rintracciato, Hannibal le confida che sta per avere "un vecchio amico per cena", mentre il suo sguardo si posa su un jet dal quale sta uscendo il dr. Chilton.

3) Fantozzi (2). Riparte da 76 metri la Serbelloni Mazzanti Viendalmare [...] Mignolo netto dell'arcivescovo con anello pastorale.

Fantozzi e Filini arrivarono con due micidiali frac presi in affitto: Filini sembrava un mutilato, Fantozzi praticamente in bermuda!

Si chiamava Ivan il Terribile XXXII, discendente diretto di Ivan il Terribile I, appartenuto allo Zar Nicola, leggendario campione di caccia al mugiko nella steppa, e fucilato come nemico del popolo durante la Rivoluzione di Ottobre sulla Piazza Rossa.

Riso al forno con pomodorini di guarnizione. I pomodorini hanno questa tragica caratteristica: fuori freddi, dentro palla di fuoco a 18.000 gradi!

Parata miracolosa del portiere inglese. Rimessa dal fondo. Palla controllata da Benetti che lancia Pulici sulla sinistra. Scatto formidabile e cannonata di Pulici che sfiora il palo! La palla è ora controllata a tre quarti di campo da Bellugi. Da Bellugi a Capello in funzione di ala destra. Saltato il mediano inglese McKinley che cerca di morderlo al limite dell'area. Tiro, nuca del terzino inglese, tibia di Capello. Nuca ancora. Mischia paurosa! Naso! Nuca! Tibia! Nuca! Orecchio! Entra Pulici, fuori di un soffio! Scusate l'emozione, amici che state comodamente seduti davanti ai teleschermi, nessuno escluso, ma sono 170 anni che non vedevo una partenza così folgorante degli azzurri! La palla è ora a Tardelli, scatto di Tardelli. [...] A Savoldi, tiro, nuca di McKinley, tibia di Savoldi, naso di Antognoni. Nuca del portiere inglese, naso di McKinley, tibia di Benetti, nuca, naso...

Scusi? Chi ha fatto palo? (Fantozzi) – Colpito da McKinley! (Telecronista dalla TV).

I 120mila di Wembley, e voi, milioni di fortunati che nessuna forza al mondo potrebbe strappare dai teleschermi, potete rendervi conto che l'Italia di questa sera fa impallidire anche il ricordo di quella dei leggendari tempi supplementari di Italia-Germania in Messico.

Con vivo rammarico devo comunicarvi che per un imprevedibile disguido la copia dell'annunciato film cecoslovacco non è arrivata in tempo e quindi la proiezione non potrà avvenire. Dove andate! Fermi tutti! In sostituzione verrà proiettato l'immortale capolavoro del maestro Serghei M.Einstein "la Corazzata Kotiomkin"!

Non si scambiavano commenti. Nel buio della sala correvano voci incontrollate e pazzesche. Si diceva che l'Italia stava vincendo per 20 a 0 e che aveva segnato anche Zoff di testa, su calcio d'angolo.

Per me... La Corazzata Kotiomkin... è una cagata pazzesca! [...] 92 minuti di applausi! [...] Hai capito? Eh? Merdaccia!

4) Match point. Chris è un giovane irlandese, bello e fortunato con le donne. Di origini modeste, riesce ad avere successo grazie al tennis professionistico; lasciato il tennis e l'isola natale, si sposta a Londra, per aver maggiori possibilità di salire la scala sociale. Qui gli Hewett, ricca famiglia borghese, lo accolgono generosamente nel loro giro di amici, come maestro di tennis, e Chris finisce con lo sposarne la figlia Chloe. Per Chris giunge finalmente la vita agognata, con un buon lavoro e una ottima posizione economica. Ma nella sua vita entra l'americana Nola, con cui il suo amico e cognato Tom ha rotto il fidanzamento. La passione tra i due si scatena e Nola rimane incinta mentre Chloe sembra non riuscire ad avere il figlio che desidera.

5) Giochi nell'acqua. Tre donne, madre, figlia e nipote, tutte di nome Cissie Colpitts, fanno annegare uno dopo l'altro i rispettivi mariti (un giardiniere, un uomo d'affari, un disoccupato), rispettivamente in una vasca da bagno, in mare ed in piscina. Malgrado i sospetti dei familiari dei defunti, fanno passare le morti per incidenti grazie alla complicità dell'eccentrico medico legale Madgett, amico di famiglia, che passa il tempo con il figlio adolescente inventandosi strani giochi e stilando macabre statistiche di morti, e che si aspetta ogni volta di essere ricompensato dalle loro grazie femminili, ma che viene solo ripetutamente illuso (è la più giovane e trasgressiva delle tre a concedergli una minima soddisfazione, ma poi si tira indietro anche lei), finché alla fine, durante la cerimonia notturna della dispersione delle ceneri dei tre mariti, rimane vittima a sua volta dello spietato terzetto.

lunedì 3 maggio 2010

Lunedì cinema

Cosa? Che? Ripeta? Dimmi? Ti richiamo. Ho perso la voce. Lo sapevo già da ieri sera e non ho provvisto con adeguati remedia. Consueta assuefazione al fatal. Una rincorsa di caffè, una speranza nel latte caldo, un'illusione nel the bollente con la bustina giusta pescata come asso di briscola, la rassegnazione nel bianco, una ripresa virtuale nel risotto. Cosa? l'assessore. Che? il capogruppo Iddivvì. Ripeta? La centralinista. Dimmi? La collega. Ti richiamo. Senza voce, niente magie. Le parole-rantolo nulla hanno potuto contro l'umido, le saracinesche abbassate, quelle alzate senza sorrisi, il caldo-freddo, il non bici, l'ombrello pendant camicia inevitabilmente disperso-ritrovato-smarrito. Mancava solo Charlot.

Classifiche dell'anima (2-continua)

1) Maurizio Crosetti. "Quando Cristiano Ronaldo comincia a mettersi il pallone sotto la gamba nel suo celebre doppiopasso, dopo neanche venti secondi, i giocatori della Roma già sembrano quei bambini che patiscono la macchina e vomitano la merenda alla prima curva. Perché il gioco di questo funambolo sposta l'equilibrio, disorienta e provoca sensazioni simili ai vuoti d'aria, qualcosa che somiglia alla vertigine e alla nausea (in senso buono s'intende: è l'effetto collaterale del suo tocco di palla). Lui è talmente gasato, ormai, da lanciarsi nel difficile o difficilissimo anche quando basterebbe passare la palla al compagno più vicino. Si capisce che vuol giocare e divertirsi come un matto. La stessa allegria di gioco che fino all'anno scorso possedeva l'altro Ronaldo, non il ciccione, Ronaldinho, il quale è una cosa grande però in questo momento pare il diminutivo del portoghese: il Ronaldo che di nome fa Cristiano, adesso, è il più bravo del mondo. O il più divertente. Nella speranza che ci sia il Milan, al prossimo giro di giostra, in semifinale contro i suoi piedi ballerini (ma è meglio non pensare alla fine che potrebbe fare la difesa dei dinosauri rossoneri), non resta che diventare tifosi globali di questo portoghese con il gel in testa, come se fossimo tutti del Manchester o, meglio, come se lui appartenesse un po' a tutti. Ma andatelo a spiegare ai poveri giallorossi in campo, pigmei al cospetto di un gigante dispettoso: Cristiano Ronaldo (si chiama così perché suo padre impazziva per Ronald Reagan, de gustibus...) ha cominciato ad attaccarsi la palla alla punta del piede al primo tocco, e non ha smesso più. Si è infilato in quasi tutte le azioni importanti dei rossi, e due - importantissime - sono state una cosa totalmente sua: il quarto e il quinto gol. Il numero sette che viene da Madeira ha dunque completato, prima, la demolizione della Roma, e poi la conseguente umiliazione. La doppietta di Ronaldo (ormai si può anche scrivere senza il nome di battesimo: non è lesa maestà nei confronti di nessuno) si è sviluppata in modi diversi. La quarta rete è arrivata al termine di un'azione classica da ala destra, con dribbling al cianuro, conclusa però da un tiro potente e millimetrico. La quinta rete, invece, è stata più comoda: al numero sette è bastato seguire l'azione, aspettando che la difesa della Roma s'imbambolasse come sempre lasciandolo solo, dalla parte opposta rispetto a quella da dove pioveva il pallone: accompagnarlo in rete è stato un giochetto da asilo d'infanzia. Di fronte a questo fenomeno, il più bravo di un gruppo di spietati, metteva malinconia osservare Francesco Totti nell'ennesima serata sbagliata della sua carriera. Ok, stavolta stava male, però mai che il numero 10 faccia non diciamo il Ronaldo, ma almeno il Totti delle sue giornate più comode. Lui è grandissimo quando tutto è facile, invece s'incarta quando la strada comincia a salire. L'assurda frase della vigilia («sento più Manchester-Roma della finale mondiale») già indicava in quale stato di confusione mentale si trovasse il capitano: la partita della Roma, e la sua personale, l'hanno confermato. In un campo di gioco ampio come l'Old Trafford, un biliardo che il Manchester non usa solo in lunghezza ma soprattutto in larghezza, Cristiano Ronaldo - altro che Totti - sembra essere doppio come il nome che porta: non una, ma due ali destre che convergono in mezzo, oppure si spostano a sinistra per disorientare chi è già sulle ginocchia. Cristiano dribbla e Ronaldo rifinisce, Cristiano passa e Ronaldo tira, Cristiano fa la finta e Ronaldo segna. Tutto sorridendo, tutto facile. L'allegria del gioco gli permette di provare cose sempre più difficili, perché ormai è tutta discesa: così Cristiano e Ronaldo, insieme, passeggiano sulle rovine della Roma".

2) Gianni Clerici. "Sessantantacinque cronisti si stipano nella rinnovata sala stampa, in cui sono passati dal 1928 infiniti campioni, interrogati da migliaia di scribi. Sul minipodio, assistito e quasi difeso da un paio di testimoni ufficiali a favore, le ginocchia disinvoltamente accavallate, Rafael Nadal attende la domande. Tardano ad arrivare, soprattutto da quella decina di giornalisti noti, gli habitué che il campione ravvisa o addirittura conosce personalmente. In questa situazione per me imbarazzante, non posso non intuire qualcosa di totalmente diverso dal Nadal che mi era familiare, sino allo scorso anno: quando vinceva cinque Montecarlo di fila e, giusto l'anno passato, seguiti da Barcellona e Roma: un'aureola di imbattibilità che pareva dovesse continuare anni e anni, relegando al secondo posto l'ex Number One mondiale, Roger Federer. Infine, mentre risponde alle solite banalità richieste da un paio di esordienti, desiderosi di esistere, mi balena d'un tratto un dubbio. Non è la star Nadal quella che ho di fronte, ma una sua controfigura. Una controfigura improvvisamente dimagrita, un giovane uomo totalmente diverso da quello che ricordavo. Era, il Nadal n. 1, un'esplosione di muscoli, ma non solo di muscoli. Irradiava sicurezza, giovinezza, arrivava a ridere, insieme ai giornalisti, del suo anglognol, il linguaggio di uno spagnolo che parla malissimo l'inglese. Anche il tono, oggi dimesso, quasi fosse una confessione, la sua, più che una comunicazione, era totalmente cambiato. Mi chiedevo se le tendiniti che appaiono ufficialmente la causa di questo suo incredibile mutamento potessero davvero creare un tale rapporto di causa effetto, e non riuscivo, con tutta la buona volontà, a immaginarlo. AI tempo stesso, mi domandavo il perché del mutamento, simile a quello di chi, come certe bellissime e prorompenti veline si spinge ad una improvvisa, non meno che nociva, dieta. Le dichiarazioni alle domande sembravano un copione redatto in diplomatichese. In Australia, prima di farsi male alle ginocchia, giocava proprio bene. A Doha sconfitto in finale da Davydenko, anche meglio. A Indian Wells, a parte una sfortunata semi contro Ljubicic, niente male. E anche a Miami, battuto da Roddick, onestamente. Per ricapitolare, negli ultimi sei mesi, non credeva di essere andato tanto male. In una parola, qui a Montecarlo, si sentiva pronto. Pronto, questa controfigura del Nadal n. 1, capace, nel 2008, di una irresistibile serie di 81 vittorie? Qualcosa che me l'aveva fatto paragonare ad Achille, un personaggio che tuttora temo non conoscesse. Non resta che augurargli di ritornare se stesso, mi dicevo, mentre a succedergli nella sala delle interviste giungeva un suo giovane collega. Quel Richard Gasquet che era stato sospeso per un incauto bacio ad una ragazza dopata e poi assolto, per evidente incapacità a discernere tra un sospiro casto ed uno avvelenato".

3) Aldo Cazzullo. "Il vento è forte, Napoli di una bellezza inquietante. Berlusconi da vicino pare finto, il trucco pesante e i capelli dal colore innaturale sono pensati per essere visti da lontano o in tv. Viene bene anche dal balcone, da qui il grido Duce-Duce. Un volantino riproduce i tre in toga tipo Plinio il Vecchio sotto il vulcano in eruzione. "Sono momenti irripetibili, personaggi che non tornano più" dice commossa una signora bionda venuta da Santa Maria Capua Vetere, e ha ragione. Dovessero perdere davvero, ci mancheranno".

4) Gian Antonio Stella. "Sarà anche vero che se «il governo ha la scarlattina, la sinistra è in coma», come irrideva ieri mattina su Il Giornale Marcello Veneziani, ma la malattia infantile che ha colpito Silvio Berlusconi è il compimento di un ciclo. Sono anni, infatti, che il Cavaliere non solo sfida l'inesorabile scorrere del tempo ma va addirittura a ritroso. Una volta, quando era giovane anche sotto il profilo anagrafico e non solo spirituale, vestiva come un funzionario dell'ufficio registro: doppiopetto, cravatta, fazzoletto dal taschino. Con gli anni s'è sciolto: maglione blu con cravatta, maglione blu scravattato, tuta blu da jogging, giubbino blu scamosciato, camicia blu con maniche arrotolate... Fino al tuffo nel giovaninismo della favolosa estate 2004 quando, per dimostrare come quel vecchio bacucco di Tony Blair avesse sì 17 anni meno di lui ma ne dimostrasse 17 di più, gli fece strada per le vie di Porto Rotondo esibendo un look da sballo: pantaloni bianchi stile «Franco-Califano-solca-Torvajanica», camicia bianca sbottonata all'ombelico da bagnino, abbronzatura camerunese e, magico tocco, una bandana da cubista con disegnini blu da far invidia a Fabrizio Corona. «Quanti anni pensa di avere?», chiese un giorno Marco Baldini allo «smemorato di Cologno» nel celeberrimo tormentone di «W radio 2». E quella canaglia di Fiorello, che vestiva i panni berlusconiani, rispose: «Io non lo so. Però mi sono guardato allo specchio. A occhio nudo, quindici anni. Sono senza rughe e non arrivo a un metro e cinquanta»".

5) Gaia Piccardi. "Noi ragazze semplici sogniamo fidanzati normali. Non c’è nulla di attraente nelle spalle da Hulk e nel vitino da vespa dei nuotatori (e il più bravo di tutti, Phelps, ha la faccia da fesso di quello a cui a scuola sparavano addosso palline di carta con la cannuccia della Bic). I calciatori se la tirano, gli schermidori hanno le gambette secche da stambecchi (un minimo di polpaccio, diamine, ci vuole), i tuffatori sono magri e piccini, i pugili mediamente grossi, i pallanotisti triangolari, gli hockeisti su prato gobbi per deformazione professionale, i tennisti asimmetrici, i ginnasti formato tascabile, gli arceri hanno la pancetta, quelli del beach volley non sono niente male però poi ti portano la sabbia in casa. I velisti stanno a Quingdao e i fuoriclasse dell’atletica sono ricchi sfondati ma non ti offrono nemmeno un caffè. I cestisti sono difficili da valutare: chi riesce a guardarli negli occhi lassù, due metri sul livello del mare? E allora i più sexy del villaggio olimpico rischiano seriamente di essere i judoka, né rachitici né imponenti, rassicuranti nella loro virile fisicità e super-affidabili se c'è da fare un trasloco. Signore bloggers, tenete d'occhio il francese Teddy Riner, nato in Guadalupa, oro annunciato nella categoria oltre 100 kg. Un Noah in vestaglia bianca e cintura nera. E poi non ditemi che non vi avevo avvertite".

domenica 2 maggio 2010

Classifiche dell'anima (1-continua)


1) Julius Winfield Erving II. Scoperto prima sulla bibbia, visto in ritardo sui tempi, assenza di filmati quando sorvolava, presenza sufficiente per vederlo staccare. Rimpianto 1977, indimenticabile 1983, tuffocuore sempre alla radio, attesa del martedì per immaginare, “Da doctor”, poesia in movimento.

2) Michael Jordan. Per sempre “EmJ”. Troppo ovvio che sia nei cinque, non sorprenda che sia due. E’ l’anima, valgono tutti uno.

3) Bob Morse. Swish-ciuff. Sempre. Sostituiva Raga (Raga!), Nikolic aveva capito. Dopo i 27 all’esordio, alla seconda in Italia ne mette 45, alla terza 30, alle quarta 39, alla quinta 35. Mai niente di simile nel jumper.

4) Mirza Delibašić. Kinde, troppa roba. Era ancora Ju-go-sla-via. Telecomando prima dei tempi, poesia radicata sul legno, vista avanti. TeleCapodistria, millanta pomeriggi del sabato con lo spettacolo di Tavčar.

5) Marco Solfrini. Unico vero Doctor J italiano. Un pomeriggio al Carnera prende la linea di fondo lato destro, stacca e schiaccia una mano in reverse. Riscaldamenti indimenticabili, riscaldamento dentro.

sabato 1 maggio 2010

La Polse

Un ritorno strano, uno spazio diverso. Semivuoto. Due ragazzi. Una ragazza. Sintetizzata magistralmente da Meni all'uscita. Quattro e qualcosa di un pomeriggio post-dentistico, calcestruzzo in bocca. Beviamo un caffè? No, un taglio. La Polse, via.
La Polse è il locale di Udine che ha avuto più gestioni senza cambiarne una. Sempre Meni (Meni-2) alla guida e contorno di parenti. La Polse l'ha imposta nell'anima il mio amico-Franz, probabilmente ha bevuto una birra primancora fosse inaugurata. Poi il mio amico-Marco ha scoperto La Bruschetta. Quella al pomodoro, la primitiva. La Bruschetta - merito del pane forma surf - più buona del mondo, la seconda arriva quinta.
Nel tempo, sulla Bruschetta è calato pure il lardo. I subentrati non sanno che scegliere. Dubbio da inesperienza, ovviamente non c'è gara. Prima del 2000, più o meno lo spartiacque, la Polse era controllata da un popolo antico. Direi un popolo classico, che capiva il senso di quel posto lì, gestita da quel Meni-2 lì, si vedeva recapitare Bruschette polisemantiche ma solo al pomodoro, la seconda arrivava decima. Un popolo di giovani-non giovani, cultura medio-alta, facoltà solite, coppie, amori, benesseri, viniVerduzzi e viniCabernetFranc, valanghe di Bruschette.
Alla Polse la porta era sempre chiusa. Calore d'inverno, calura d'estate, ventola zucchero-sui-coglioni, Bruschette-sauna, la seconda arrivava ventesima. Gente tanta ma non troppa. Gente troppa ma mai troppo. Prima della svolta alla Polse si parlava e si ascoltava, forse non ero ancora sordo.
Poi, terzo millennio, c'è stata un'invasione. Il popolo classico si è imborghesito, ha fatto figli ma non troppa resistenza, è migrato. Il popolo nuovo, orda, ha preso possesso della Polse. Si accampa dentro e fuori, porta sempre spalancata, ventola con l'ossigeno, gente troppa sempre troppa, paletti da aggirare come in slalom speciale. Nella nuova Polse la birra ha scavalcato il vino. Anch'io, birra-canna, ho spostato la statistica. Alla Polse ci sono abitanti colorati, pizzetti, pirsings, pupille, papille, piallati. Alla Polse si urla. Si scrive su un bigliettino la bibita e il numero delle Bruschette-da urlo, si viene rintronati, forse per quello, adesso, sono sordo.
Ieri però la Polse aveva qualcosa di diverso. Non una sorpresa, la Polse è camaleontica. Mentre la ragazza ics osservava con occhi-pallati un dialogo con il Maestro, inevitabilmente staccata la mente dai due ragazzi, piazzavo del crudo sul pane-Polse. Era una Bruschetta delle quattro e qualcosa del pomeriggio, calcestruzzo in bocca. La seconda arriva fuori tempo massimo, quando anche la Croce Rossa se n'è andata via.