"Scassinarmi da me per entrarmi di giorno in sogno e vedere com'è che mi muovo che cuocio un uovo e svogliare cari orari miei non toccare lei Corro solo e oserei defluire a segreti greti e irretirmi curioso nel buon uso del sosia iosa e goloso di dolcezza mia derubarmi La lacrima sta come arancia nell'aranceto delle guance sfila si snoda da indossatrice dentro l'abito da sera della mia cera Con marina ironia paturnie notturne e ormeggi sogno un mio volteggio umano da gabbianone"
sabato 3 aprile 2010
Vola via
Era un cronista di talento. Se ne andò da quel posto in paradiso di giornalista di punta della Gazzetta inventandosi un’intervista a Zico. Una follia. Perché lo fece? Il Galinho arrivò al Processo di Biscardi e lo sbugiardò in diretta con conseguenti farfugliamenti. Il giorno dopo, a Udine, non si parlava d’altro. Ma fu un regalo alla tv. In quelle private non berlusconiane aggiungeva una perla all’altra. Miracoli. La tv la cambiò come, in altro campo, fece Funari. Dominò al Processo. Portò il bar Sport alla massa, lo esportò alle donne, lo elevò a verità. Nell’Appello del Martedì svelò Herrera e inventò Mughini. Poi tirò fuori il pendolino, perno cabalistico su cui girarono varie domeniche altrimenti invernali. Lo insultavano ma lo guardavano. Vestiva giacche improbabili, il gilet sempre fuori tempo, ultimamente indossava una sciarpa al collo come coperta di Linus. Capiva di calcio. Ma capiva soprattutto di chi delira per il calcio. Quando inventò pure le bombe, per anni sembrarono vere. Ne tirava così tante che qualcuna colpiva il bersaglio, altro che Tuttosport. Declinò a Controcampo, non per colpa sua. Nel suo grande, un genio.
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