"Scassinarmi da me per entrarmi di giorno in sogno e vedere com'è che mi muovo che cuocio un uovo e svogliare cari orari miei non toccare lei Corro solo e oserei defluire a segreti greti e irretirmi curioso nel buon uso del sosia iosa e goloso di dolcezza mia derubarmi La lacrima sta come arancia nell'aranceto delle guance sfila si snoda da indossatrice dentro l'abito da sera della mia cera Con marina ironia paturnie notturne e ormeggi sogno un mio volteggio umano da gabbianone"
sabato 15 maggio 2010
Tat-ta-tat-ta-tat-tara-tatà-twit
Centinaia di serate. Tutte uguali. Tutte alla stessa ora, dopo il tiggì. Inizio-fine, dieci minuti spaccati. Divano e poltrone verdi ramarro. Velluto attrito. Di sicuro l’ho visto fino all’ultima puntata, 1 gennaio 1977. Silenzio reale. Concentrazione feroce, come ai rigori di un mondiale. Cantavano, sketchavano, palieggiavano. Per adulti ma anche per bimbi. Per mandarli a dormire. 20.50, dai che inizia. 21, dai a nanna. Questi sono tanti, questo è il numerouno, questo è l'ultimo. Non guardo più la pubblicità. Ecché c'ho scritto?
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