"Scassinarmi da me per entrarmi di giorno in sogno e vedere com'è che mi muovo che cuocio un uovo e svogliare cari orari miei non toccare lei Corro solo e oserei defluire a segreti greti e irretirmi curioso nel buon uso del sosia iosa e goloso di dolcezza mia derubarmi La lacrima sta come arancia nell'aranceto delle guance sfila si snoda da indossatrice dentro l'abito da sera della mia cera Con marina ironia paturnie notturne e ormeggi sogno un mio volteggio umano da gabbianone"
domenica 14 marzo 2010
Mexico 70
Si stanno allargando, sfaldando, bucando. Sono diventate scivolose, capita spesso di piegare la caviglia. "E' lassa", sentenzia il fisioterapista. Aggettivo orrendo. Caviglia candidata all'artrosi, non serve nemmeno presentare le liste. Quello della foto è un lifting, uno scatto d'archivio, la certezza dell'immortalità. Le ho viste, le ho provate, non ho avuto un dubbio, non ho visto il prezzo, sono andato alla cassa confortato da un "ma sì, dai" che non serviva nemmeno. Oggi c'è un primo tepore mattutino, almeno da una finestra, dall'altra è entrata ancora la siberia. Ci hanno rubato l'estate, lo fanno sempre più spesso, altro che innalzamento delle temperature. Metà marzo e la polo dov'è? 14 marzo, domenica, le rimetto in strada. Come un campionato di Formula 1 alla partenza. Non uno sport, si sa, ma una certezza sul calendario. E allora le Mexico 70, la più alta invenzione degli scarpitetti, de los zapateros, of the (pronunciato da) shoes-writers, ripartono lente, perché sono artritiche, esse (lasse) prima della caviglia, ma dipingono l'asfalto. E non sono meno divertenti del 4-3 dell'Azteca.
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